di Mevlana Jalaluddin Rumi

La nostra morte è il nostro matrimonio con l’eternità.
“Qual è il segreto? Dio è Uno”.
La luce del sole si divide quando entra nelle finestre della casa.
Questa molteplicità esiste nel grappolo d’uva;
non è nel succo d’uva.
Per chi vive nella luce di Dio,
la morte dell’anima carnale è una benedizione.
Riguardo a lui, non dire né male né bene,
poiché egli è andato oltre il bene e il male.
Fissa i tuoi occhi su Dio e non parlare di ciò che è invisibile,
affinché egli metta un altro sguardo nei vostri occhi.
È nella visione degli occhi fisici
che non esiste nessuna cosa invisibile o segreta.
Ma quando l’occhio è rivolto alla luce di Dio,
quale cosa potrebbe rimanere nascosta sotto una tale Luce?
Anche se tutte le luci emanano dalla Luce Divina
non chiamare tutte queste luci ‘la Luce di Dio’;
è la luce eterna che è la Luce di Dio,
la luce effimera è un attributo del corpo e della carne.
…Oh Dio che dai la grazia della visione!
L’uccello della visione vola verso di Te con le ali del desiderio.


é stato pubblicato il primo volume di

FLORILEGIUM

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One Reply to “Il matrimonio con l’eternità”

  1. La nostra morte è il nostro matrimonio con l’eternità.
    Quando questo accade molte cose rivivono in noi, le cose piccole diventano grandi a dismisura.

    Il dettaglio e la sua carica

    In occasione di un seminario ad Amburgo nel 1925 Aby Warburg afferma che «il buon Dio abita nel dettaglio».
    Hermann Usener – uno dei docenti che ha maggiormente influenzato il giovane Warburg – nei suoi corsi di mitologia sosteneva che «è nei punti più piccoli che risiedono le forze più grandi». È così che entrambi gli studiosi, con parole diverse, intendevano attribuire ad un luogo minimo – come il dettaglio in relazione all’intera opera d’arte – la forza di un valore espressivo che quasi sempre si sviluppa in profondità e parla attraverso il tempo inattuale del Nachleben.
    Warburg ha potuto riconoscere, nel corso dei suoi studi, che il sintomo sceglie proprio il dettaglio per infrangere la superficie: è manifestandosi sotto forma di formula di pathos che investe e carica il dettaglio di forza ed energia pulsionale [1].

    E ancora sul “dettaglio”.

    Dio è nei frammenti

    «Un giorno in cui riceveva degli ospiti eruditi, Rabbi Mendel di Kozk li stupì chiedendo loro a bruciapelo: ”Dove abita Dio?”. Quelli risero di lui. “Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”.
    Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciar entrare Dio. Ma lo si può lasciar entrare solo là dove ci si trova e dove ci si trova realmente, dove si vive e dove si vive una vita autentica. Se instauriamo un rapporto santo con il piccolo mondo che ci è affidato… allora lasciamo entrare Dio» (M. Buber, Il cammino dell’uomo).
    A volte la realtà ci sembra troppo piccola e banale, altre volte troppo insignificante la vita di tutti i giorni: solite persone, soliti problemi, solite difficoltà. Eppure è proprio questo il «piccolo mondo che ci è affidato» del quale dobbiamo aver cura, in cui dobbiamo accendere un brivido di vita vera. Inutile e fuorviante cercare altrove: quella è la porta attraverso la quale dobbiamo far passare l’infinito con i suoi sogni e le sue speranze. Anche se a volte ci sembra difficile…» [2].

    Ma c’è ancora di più sul luogo della nostra vita quotidiana dove crediamo veramente che vi abita Dio, come suggerisce Rabbi Mendel di Kozk, perché “Dio è nei dettagli” esaminando i suoi “frammenti”.
    Il frammento è il potenziale portatore di forma, forma che crea complicazioni perché appare nella sua frammentazione disperdendosi in mille rivoli. E allora sorge nel ricercatore la risposta di cosa sia il frammento.

    « Oggetti desueti, dimenticati, frantumati e minuti si pongono nel tema del pensare, interrogando il valore filosofico e letterario del frammento per trovare forme di composizione momentanea in costellazioni di senso capaci di ridefinire, nel gioco dei rimandi, modalità conoscitive e paradigmi temporali, scoprendo di nuovo che “dio è nei dettagli”. »
    Così leggo sul “frammento” nel bel saggio « Rottami, rovine, minuzzerie: pensare per frammenti » – Edizioni ETS curato da Matteo Mareschini scrittore e giornalista bolognese.

    E qui ora si fa luce sul senso della ricerca alchemica eternamente incompresa.
    Mi par di vedere una vecchia officina meccanica con ammucchiate, qua è là di cianfrusaglie, pezzi di cariatidi di macchine e un anziano meccanico con una tuta bisunta che vi rovista frenetico. Infine raggiante, egli, con un piccolo congegno un po’ sporco in mano, si dirige, come illuminato verso una macchina in allestimento ferma da tempo, per risolvere ciò che occorreva per metterla in moto. È un pezzo introvabile in commercio che ora, come un certo cuore nuovo, fa rivivere un morto.
    Ed ecco la metafora delle combinazioni possibili del “divino” per una ricomposizione possibile, frammento incarnato in una nuova “creatura”, dunque con una sua storia preziosa da far progredire. E non quella di un nuovo mondo, ma senza “padre”: questo è il grande pregio del frammento in questione, che fa la differenza.
    Resta da capire in quale frammento possa risiedere questo “padre”, perché quando lo si trova, allora sì che per il ricercatore la cosa diventa interessante. Egli scopre che esso non è un frammento casuale, una cosa qualunque, perché è un fatto (faict). A questo punto è come il sorgere di una radiosa alba per il ricercatore, perché basta questo fatto per mettere in moto in lui il pensare “per frammenti” come raccomanda Matteo Mareschini nel saggio del “pensare per frammenti”.
    Di solito da un fatto, da un’esperienza, ne nasce un’altra e poi ancora un’altra e così via. A guisa del proverbio del poeta greco Alceo (Carmi, IX, 15) “Niente potrebbe nascere da niente?”. Cui Machiavelli aggiungeva “Di cosa nasce cosa, e il tempo la governa” (La Mandragola, a.I, sc.I).
    Nel lavoro letterario curato da Mareschini c’è appunto questa fonte che sgorga da un “frammento”, cosa da poco, ma al punto da concepire una grande verità e dire nel suo lavoro, “Dio è nei dettagli”.

    Barbeau

    [1] Tesi di laurea 2007-2008 della laureanda Elisa Danesin – Ricerche sulle Giuditta di Klimt. Uno sguardo warburghiano – Esercizi Filosofici 5, 2010, pp. 31-52 ISSN 1970-0164 – link: http://www.univ.trieste.it/~eserfilo/art510/danesin510
    [2] https://www.ilsole24ore.com/art/e-ancora-casa-luogo-vita-vera-AEnSAqAF%5D

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