Introduzione
N.B.: Per poter comprendere meglio i commenti, è necessario avere accanto una copia del Kybalion in quanto non ho voluto riportare gli assiomi per evitare di riempire pagine intere di cose già scritte altrove.
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Il-KybalionHo avuto modo di leggere il Kybalion già parecchi anni fa ed il rileggerlo oggi mi fa, oltre che molto piacere, rivedere ciò che sono le mie emozioni ed impressioni durante la lettura del testo.
Ricordo che rimasi affascinato, stupito, innamorato di questo libro tanto da proporlo per lavori speculativi di una Scuola iniziatica. Purtroppo, la mia proposta fu ritenuta troppo complessa e questo mi diede molta delusione. Ancora oggi, dopo anni di lavoro esclusivamente speculativo in tale “Scuola”, non ho avuto la possibilità di poter esprimere i miei commenti al Kybalion, ma con immenso piacere li darò su questo brevissimo trattato.
Rispetto alla lettura precedente è cambiato molto l’approccio e la reazione a quanto riportato nei commenti dell’autore ai Principi Ermetici. Rileggendo i miei commenti, vedo molta polemica e quasi intolleranza in merito ad alcuni aspetti da me ritenuti essenziali nel lavoro spirituale di un Iniziato.
Ovviamente non ritengo di avere ragione o di possedere la Verità. Ciò che ho scritto è derivato esclusivamente dalla mia personalissima e semplice esperienza di vita che può essere anche incompleta su determinati aspetti soprattutto interiori.
I miei commenti al testo devono dunque essere letti come un dialogo tra me e chi ha scritto l’opera e chi sta leggendo questo trattato, non come una sentenza di screditamento.
Mi rendo conto che l’esperienza ed il tempo cambiano l’uomo ed il suo pensare, certe volte anche drasticamente. Forse questo è il caso, ma d’altronde non possiamo che prendere atto dell’impermanenza delle cose.
Il Principio del Mentalismo
Tutto è emanato dalla Mente di Dio. Tutto, pertanto, è il pensiero di Dio.
Secondo la direzione verso la quale il mio pensiero si rivolge meditando su questo principio, il “tutto” si esprime su vari livelli di esistenza, ognuno dei quali è la copia più piccola o grande dell’altro.
Questo mi riporta al concetto di “frattale”, ovvero di quella struttura geometrica che si ripete all’infinito dentro e fuori da sé stessa.
Tale tipologia di struttura ha dato modo di rivedere la perfezione dell’universo materiale, della realtà percepita legata finora ad una concezione idealistica di imperfezione. La perfezione, infatti, secondo alcune dottrine filosofiche, esisteva solo nell’idea. La purezza della geometria e della matematica non esisteva in natura.

Tuttavia, con la teoria dei frattali concretizzata nell’insieme di Mandelbrot, la perfezione è riportata alla realtà percepita in quanto la materia segue un principio di corrispondenza frattale rispetto alla base ideale, ad una figura generante, al Principio.
La manifestazione è dunque immagine frattale della sorgente e non solo l’ombra. L’infinitamente grande o l’idea, sono la base per l’infinitamente piccolo o la realtà e viceversa.
Semplicemente la realtà che percepiamo che, secondo lo schema dell’Albero della Vita corrisponde a Malkuth, non è nient’altro che la manifestazione di Dio, quindi Shekhinah.
Pertanto, riportando la teoria dei frattali al principio del mentalismo ed alle strutture energetiche del pensiero con i diversi stati di elevazione spirituale dell’uomo, potremmo identificare l’individualità umana come parte integrante del pensiero di Dio, formata dalla stessa sostanza e con la stessa forma energetica. Il tutto che viene dall’Uno e nato per adattamento (come un frattale) di questa cosa unica, così come riportato nella Tavola di Smeraldo:
“Come tutte le cose sono sempre state e venute da Uno, così tutte le cose sono nate per adattamento di questa cosa unica.”
La creazione manifestata, il pensiero stesso dell’Uomo è dunque, prendendo spunto da questa riflessione, una struttura identica all’Uno ed allo stesso tempo sua parte integrante. Citando me stesso dalla relazione sulla Cabala Mistica di Dion Fortune:
“l’uomo non è nient’altro che il pensiero di Dio”
Trasmutazione mentale
Considerando quanto scritto, aggiungo che per effettuare la trasmutazione è necessario un “fuoco”. Questo Fuoco è rappresentato dall’Intelletto, ovvero la capacità dell’uomo di osservarsi interiormente, quindi l’osservazione interiore dei pensieri, concetto che nel cristianesimo ortodosso è espresso come “Vigilanza del Cuore”. Attraverso questo atto, i pensieri condizionati e compulsivi vengono “sciolti” e quindi trasmutati in sostanza pura e splendente. Lavorando per analogia e considerando il principio del mentalismo, possiamo affermare che attraverso l’atto trasmutativo interiore può essere trasmutata anche la realtà che percepiamo come esteriore.
Il Tutto
Tempo fa, un mio carissimo amico mi disse che
“noi percepiamo le cose non per quello che sono, ma per come noi siamo”.
Fondamentalmente, ha espresso un concetto secondo il quale la realtà da noi percepita è condizionata e pertanto non è reale quanto, invece, la reale sostanzialità delle cose.
Tuttavia, questo concetto esprime un paradosso in quanto, se io percepisco qualcosa o qualcuno non per quello che è, ma per come io stesso sono, allora è chiaro che quando io percepisco me stesso, non posso fare altro che percepirmi per come sono realmente. Sembrerebbe pertanto che ogni percezione interiore sia pura. Se ciò è vero, è chiaro che la percezione interiore è sostanziale. Ciò significa che, essendo la percezione di me stesso pura, la percezione di ciò che è all’esterno lo è altrettanto in quanto, ciò che è percepibile come esterno a me è comunque interiore a Dio. Quindi, essendo la realtà sostanziale del Tutto interiore a Dio così come all’uomo, il Tutto è per come deve essere e la nostra percezione è già sostanziale.
Avendo espresso il paradosso, arriviamo al concetto di inconcepibilità. Infatti, il paradosso non si può risolvere in una concezione definita, ma resta la perplessità. Proprio nella perplessità, secondo me, resta la Ragione quando si trova a dover trovare una concezione di Dio e dell’Infinito. L’unica qualità dell’anima che può superare tale stato di perplessità è l’intuizione non ragionata (la Sapienza) che accetta la realtà per quella che è, senza dover generare un concetto definito attraverso il processo logico.
Ovviamente, il ragionamento fatto non ha considerato una parte importante della percezione: la condizionabilità. Resta dunque e sempre l’indefinibilità del Tutto in quanto, seppur “tutto è per come è”, tuttavia, non lo è secondo quanto possiamo percepire in quanto soggetti a condizionamento.
Ciò riporta al lavoro di trasmutazione, in quanto, attraverso l’atto dell’osservazione, possiamo eliminare il condizionamento e pervenire ad una conoscenza sostanziale delle cose.
L’Universo mentale
Sono abbastanza in disaccordo con il concetto espresso per il quale si dice che l’uomo crea mentalmente così come il Tutto crea mentalmente.
Infatti, secondo la mia esperienza, è più corretto dire che il Tutto, che ha creato mentalmente l’immagine dell’uomo, attraverso questa si esprime ed agisce nella creazione.
Pertanto, non è l’uomo che crea, ma è comunque il Tutto.
Ciò deriva dal fatto che le immagini archetipiche provenienti da un nulla indefinito e che danno l’input per il processo logico, sono generate da una Volontà superiore all’io umano e ne indirizzano l’azione. Infatti, non è l’uomo che agisce, ma è il Tutto che agisce attraverso l’uomo.
Ho l’impressione sempre più crescente che chi ha scritto l’opera, stia utilizzando solo la ragione, escludendo l’esperienza mistica di unione con il Tutto.
Il Divino Paradosso
Credo di aver preso una versione mediocre di questo scritto. L’utilizzo della punteggiatura ed alcune frasi scritte veramente male, addirittura quasi incomprensibili, ne evidenziano una traduzione sufficiente e mal curata.
Inoltre, quanto trascritto denota un continuo richiamo a verità postulate di pseudo religioni ed ermetisti alquanto discutibili, come può essere il richiamo alla reincarnazione sulla quale possiamo tranquillamente essere certi sulla interpretabilità della cosa e non sull’effettiva esistenza del fenomeno.
Detto ciò, ritengo che la frase riportata all’inizio del capitolo, possa essere interpretata semplicemente affermando che l’unico mezzo di trasformazione delle leggi naturali sia l’azione dell’operatore su un livello diverso dal consueto reale percepito dalla mente umana. Riuscendo quindi a immaginare determinati archetipi, si può secondo me, riuscire ad intervenire perlomeno sulla propria psiche, modificando quindi la prospettiva della propria conoscenza della realtà. Sono ad oggi molto scettico sulla possibilità dell’uomo di raggiungere uno stato per il quale si riesce, attraverso l’immaginazione guidata dalla Volontà, di intervenire sulla materia o sulla psiche di altre persone. Tuttavia, accettando il principio del mentalismo qui postulato, non escludo tale possibilità. Resta comunque, a mio avviso, un contorno di ciò che è il vero obiettivo dell’ermetista o del mago: l’unione con il Divino.
In cosa può infatti consistere il senso di un’azione magica sulla realtà per modificarla? Se il Tutto agisce, rendendo perfetta la propria creazione “mentale”, ogni azione rivolta al cambiamento della perfezione è da intendersi in contrasto con la Volontà e quindi generata dalla volontà individuale dell’uomo che non si riconosce ancora nel Divino. L’azione invece generata dalla Volontà e portata a compimento dall’uomo che si riconosce in Sé stesso, è da intendersi invece come azione divina mirata al raggiungimento dell’armonia. Ma chi può dire di essere il mezzo d’azione della Volontà?
Ciò comporterebbe il pervenimento ad uno stato perlomeno di conoscenza della Volontà che si ritrova in Chokmah. È, quindi, solo il Figlio che agisce per la Volontà del Padre. Ma chi può definirsi Figlio?
Forse in questo consiste il vero paradosso, ovvero nel fatto che l’azione dell’uomo, essendo dettata dalla volontà individuale è relativa solo alla realtà percepita e purtuttavia, essendo l’uomo l’immagine del divino ed il Suo mezzo di espressione, la stessa azione può essere il riflesso della Volontà divina.
Come discernere ciò? Una risposta ci porterebbe a dibattere sul libero arbitrio, ma non è questo il luogo per parlarne.
Il “Tutto” in tutto
Per quanto possa sembrare puro panteismo, non posso non restare che in silenzio di fronte a quanto riportato in questo capitolo.
L’unico mistero resta per me quello dell’individualità. Questa, si percepisce come separata e non può certo affermare di essere il Tutto anche se l’estrema sintesi della stessa individualità altro non è, per me, che l’espressione del Tutto in una forma. Non ritengo infatti giudicabile negativamente l’affermazione di chi è arrivato a dire “Io sono Dio” in quanto ciò denota un livello di comprensione dell’essenza umana diverso da ciò che è razionale e quindi diverso dal metodo di trattazione del libro che sto dibattendo.
L’unica situazione nella quale l’individualità forse supera lo stato di separazione di cui sopra scritto, si ritrova in ciò che è l’atto più profondo della meditazione, dove l’uomo si percepisce diversamente, senza forma, senza spazio e senza tempo. In questo “nulla infinito” dove l’uomo perviene finalmente ad una conoscenza profonda di ciò che era, perdendo la propria identificazione e quindi perdendo l’individualità, forse consiste la proprietà e l’essenza del Tutto. Essendo tutto ciò “irrazionale”, resta comunque la perplessità su ciò che si è se si cerca di portare ad un livello esperienziale comprensibile tale situazione.
Proprio nella perplessità è la fine dell’individualità in quanto soggetta alla ragione. Superato tale stato, si perviene a qualcosa di diverso dove, secondo quanto mi è permesso conoscere, ma non essere, si è Volontà e quindi motore immobile attorno al quale tutto ruota.