La felicità, in teoria, è lo stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti i propri desideri.
Ma ecco che, non appena rifletto un po’ ai miei momenti di felicità, capisco che le cose non sono così semplici come sembravano o almeno non è così facile spiegarlo.
Infatti, l’uomo, per sua natura, nel momento in cui raggiunge un suo desiderio, dopo appena 30 secondi (passatemi questa estremizzazione) di chiamiamola “felicità”, il suo stato ritorna a quello precedente.

Vi faccio un esempio pratico, che poi è anche il mio.
Non appena laureatomi, l’unica cosa che potesse rendermi felice era il trovare un lavoro.
Bene, il giorno in cui sono stato assunto, cantavo e ballavo letteralmente di gioia.
Ho firmato il contratto e, per tutto il tempo della strada del ritorno (circa 2 ore), ridevo da solo, cantavo, mi muovevo simulando i movimenti di ballerini caraibici, il tutto all’interno del mio piccolo abitacolo.
Ovviamente era il raggiungimento di un traguardo molto importante per cui avevo studiato e lavorato tanto e sembrava che niente potesse distogliermi da quella gioia.
In realtà, dopo i primi periodi, quando il lavoro, come tutte le cose terrene, si era trasformato in routine, ecco che la gioia e quella felicità che sembrasse non dover finire mai, era svanita. La stessa cosa si può dire con il traguardo della laurea o l’acquisto della casa.
Tutti obiettivi e desideri che per periodi, più o meno lunghi, mi hanno reso “felice”.

Da un po’ di tempo ho ormai capito, quindi, che il raggiungimento dei desideri, per lo meno quelli che appartengono alla sfera terrena, danno sì una grande gioia o dei momenti di felicità, ma sono passeggeri. Come se si trattasse di una droga che, una volta svanito l’effetto, ritorni allo stato di prima.
Ho cercato quindi di godermi questi momenti, ma senza cercare di raggiungerli per forza e a tutti i costi.
Mi rendo conto che scritta così potrebbe essere interpretata malamente.

Mi spiego:
la felicità che deriva dalle cose terrene è sempre passeggera ed essendo passeggera è inutile avvilirsi e disperarsi per un desiderio non raggiunto.

Il fatto che vinca all’enalotto o che sia milionario, mi dà sì una gioia, ma sempre di passaggio. Anzi, per chi non è abituato a gestire grosse somme di denaro, potrebbe essere l’inizio della fine.
Vi faccio un esempio che mi è rimasto impresso.
Qualche giorno fa sentivo alla radio che Neymar (il giocatore), stipendio milionario ed oltre, paga un gruppo di ragazzi affinché gli siano amici. Vi sembra felice un uomo del genere?

Come possiamo essere felici?
Eh, bella domanda, vero?

C’è pure un film che si intitola “La ricerca della felicità” in cui il protagonista si prodiga affinché possa essere felice, vi consiglio di vederlo se non l’abbiate già fatto.

Posto questo dilemma, fondamentale direi per cercare di districarci all’interno dell’argomento, più che al “come”, porrei l’enfasi su “cosa” ci possa rendere felici.
Le cose terrene o altro?
Io sarei propenso per altro e l’elenco di cose appena citate mi dà prova di ciò.

Ma allora cosa è questo “altro” che ci permetterebbe di essere felici?

A questo cari, non so rispondere anche se intuisco che potrebbe essere ad esempio, elevarsi ad uno stato diverso da quello attuale.

Detto ciò, per non dilungarmi troppo, cerco di volgere al termine.

Qualche anno fa mi sono trovato all’interno di una discussione sulla felicità dei santi.
Ebbene, si affermava che i santi fossero felici non perché avessero qualcosa di materiale, ma lo erano nel loro stato, nel loro più intimo Io.
Questa cosa mi diede molto di pensare e da lì iniziai seriamente a capire l’importanza di coltivare il mio “me stesso” e di lavorare affinché possa raggiungere uno stato più elevato che, appunto, a parte donarci la pace interiore, ci porterà alla felicità, quella vera e non effimera.

Come avrete capito, io al momento non sono felice, nonostante non abbia nulla di cui lamentarmi. Le cose mi vanno un gran bene. Mi piace definirmi “sereno”, ma essere sereno, contento o gioioso, non fa di me una persona felice, almeno non nel termine più elevato.

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